L’omaggio a Giulia Daneo Lorimer e la storia dei Whisky Trail: due parole con Stefano Corsi
E’ veramente un piacere, in questo nuovo incontro nel nostro “The Meeting Place”, avere con noi Stefano Corsi: polistrumentista (arpa celtica, harmonium e voce), è uno dei fondatori dei Whisky Trail, tra i più noti e celebrati gruppi che si ispirano alla musica tradizionale irlandese e celtica.
Siamo molto contenti di questo incontro anche perché avviene in prossimità di un bellissimo evento, il concerto in omaggio e in memoria di Giulia Daneo Lorimer, altra fondatrice e componente storica del gruppo, scomparsa lo scorso anno. Il concerto si terrà venerdì 14 Ottobre, alle ore 21, al Tuscany Hall di Firenze, e siamo felici di poter partecipare e condividere anche noi il ricordo di questa straordinaria donna ed artista.
Vorremmo iniziare proprio dal ricordo di Giulia che è stata, oltre che violinista e voce del gruppo dagli inizi della sua attività, una figura di riferimento, a partire dai primi anni 70, nel panorama culturale fiorentino e non solo. Quali sono, se è possibile identificarli, il ricordo e l’impronta più tangibile che Giulia ha lasciato?
Di ricordi ce ne sarebbero tantissimi e fanno capo un po’ tutti a quella che fu, fin da subito, la prima e fondamentale impressione: una casa in campagna, un mondo fuori dal contesto quotidiano che si respirava negli anni in cui ci siamo conosciuti (i primi anni 70, NdR).
Mi riferisco alla casa sulle colline di Scandicci che fu l’abitazione di Giulia e della sua famiglia a partire dal ’54, al loro arrivo dagli Stati Uniti. Noi giovani, allora, stavamo cercando qualcosa che avesse a che fare con gli ideali di quel periodo, di diverso rispetto alle aspirazioni di una vita borghese.
La famiglia di Giulia era una famiglia signorile ma semplice allo stesso tempo: in quella campagna avevano una vigna, facevano l’olio… E in Giulia sentivi un modo di vivere e guardare la vita semplice e profondamente autentico, con la visione di un cristianesimo vissuto tradizionalmente nella famiglia e percorso, in quel periodo, dai fermenti di preti fiorentini come Don Fabio Masi. Tra l’altro, proprio Giulia, nel suo libro “La Lana rimasta sulle siepi”, scritto vari anni fa ma solo recentemente pubblicato da Mauro Pagliai Editore, ricorda Don Fabio come un elemento fondamentale nella vita del quartiere.
Sulla vostra pagina Facebook Whisky Trail, a descrizione della locandina dell’evento del 14 Ottobre, c’è un bel post: “Eravamo giovani. Con storie diverse, ma in un modo o nell’altro finimmo tutti per trovarci da Giulia, nella sua grande casa […] aperta ai fermenti di un mondo in coinvolgente trasformazione. […] I Whisky Trail sono nati in quel clima”. Quindi, a questo proposito: come mai l’Irlanda? Da cosa nasce l’ispirazione alla musica folk e tradizionale irlandese?
Ci sono state un paio di coincidenze casuali ma che, allo stesso tempo, sembrano un percorso predisposto ad arte. La prima fu questa: nel ‘58 Giulia era stata con il marito a fare un giro a piedi dell’Irlanda, portando con sé solo un sacco a pelo e una tenda. Lei tra l’altro aveva anche delle lontane ascendenze familiari che arrivavano dall’Irlanda, da parte del ramo materno della famiglia.
Durante quel loro viaggio incontrarono poeti e musicisti e tornarono a casa con molti dischi di quello che era un folk revival che, dopo aver quasi rischiato di perdersi a causa della guerra e della rivoluzione irlandese, era tuttavia rimasto ancora profondamente vivo, ad esempio nelle campagne, e stava ripartendo proprio negli anni ’50.
Quei dischi furono molto importanti per noi perché tutto nacque da lì, e si sviluppò in seguito attraverso la nostra ricerca, interpretazione e rielaborazione personale.
Fondamentale fu inoltre la partecipazione di Antonio Breschi, pianista jazz di formazione classica, anch’esso frequentatore della casa di Giulia all’epoca, e grande amante della musica popolare, in cui ritrovava anche le radici del jazz. Il suo apporto iniziale fu quello di intraprendere e sostenere un percorso che dall’Irlanda arrivava fino in America. Ecco perché adottammo il nome “Whisky Trail”, ovvero la “pista del whisky” che dall’Irlanda conduceva appunto in America.
La prima testimonianza di tutto questo fu un nastro che inviammo all’Editoriale Sciascia nel settembre del ’75 con le nostre prime incisioni. La registrazione piacque molto e destò un grande interesse per la musica irlandese, che per noi rappresentava uno dei pilastri della musica non solo europea ma anche americana.
Peraltro anche la critica irlandese ha riconosciuto e apprezzato il vostro lavoro di profonda ricerca filologica della loro musica tradizionale.
Esatto, noi iniziammo molto presto a battere questa strada di approfondimento culturale della musica irlandese, siamo stati i primi in Italia, contribuendo a dare origine poi, nel tempo, a un fenomeno che ha visto la nascita e la presenza tuttora di tanti altri gruppi che si ispirano alla tradizione musicale celtica.
Dalla nostra ricerca vennero presto fuori le fiabe di Yeates, varie leggende tra cui quella di un re, trasformato in uccello dalla maledizione di un monaco… (a cui è ispirato l’album “The Frenzy of Suibhne” del 1992, NdR). Insomma, si veniva palesando un mondo assolutamente inatteso e affascinante, che trasformò letteralmente le nostre vite. E, in effetti, questo lavoro di ricerca ci è stato anche riconosciuto dalla stessa critica irlandese. Addirittura in una recensione scrissero che riuscivamo a scavare dei solchi nella loro tradizione anche meglio di come avrebbero potuto farlo loro stessi. Ovviamente rimanemmo stupiti di ricevere tali apprezzamenti proprio da loro.
Deve essere stato, per voi, uno dei riconoscimenti più belli e importanti… Ora, rapportandola alla musica popolare italiana, che ha una matrice molto varia, con radici storiche e territoriali assolutamente eterogenee, la musica celtica sembra avere, almeno nell’immaginario collettivo, dei caratteri armonico-melodici, strutturali e stilistici più unitari e riconoscibili. E’ veramente così oppure esistono anche per la musica folk irlandese delle varietà territoriali e culturali ben definite e identificabili?
Sicuramente sì, ci sono delle varietà formali e anche modi di suonare diversi. Tuttavia c’è un denominatore comune fortissimo che viene da una cultura molto antica, che rimase libera da influenze straniere fino al 432 d.C., quando S. Patrizio sbarcò sull’isola e iniziò la conversione al Cristianesimo del popolo irlandese. Prima di allora neanche i Romani erano riusciti ad arrivare fin là, si erano fermati in Scozia con il Vallo di Adriano…
Anche gli Inglesi subirono il fascino della cultura irlandese, al punto che entro poche generazioni a partire dalla colonizzazione dell’isola, gli stessi Inglesi cominciarono ad essere definiti “più irlandesi degli irlandesi”, come ricorda il nostro concittadino giornalista e scrittore Riccardo Michelucci nel suo libro: “Storia del Conflitto Anglo-Irlandese”.
Per effetto di tutto questo la musica irlandese presenta dei tratti assolutamente distintivi: l’arpa, ad esempio, è uno strumento antichissimo che esisteva sull’isola prima dell’anno 1000, portata fin lì, in origine, probabilmente dai Fenici, ma trasformata dagli Irlandesi in uno strumento assolutamente evoluto e raffinato.
Il vostro ultimo album in studio, Open del 2020, pur facendo sempre riferimento alla cultura irlandese, lascia spazio anche ad arrangiamenti e sonorità più eclettiche, come ad esempio la presenza della chitarra elettrica. In che direzione si sta muovendo il percorso artistico dei Whisky Trail?
Devo dire che ogni nostro disco è stato ed ha rappresentato qualcosa di diverso, sia per quanto riguarda le tematiche trattate sia per la musica che ne è scaturita. Ad esempio, l’album Concerto del 2015, registrato in occasione della celebrazione dei nostri 40 anni di attività, è caratterizzato da brani molto articolati. Direi che possono essere definiti come un progressive-folk. Tra l’altro questo è l’ultimo disco in cui appare Giulia, che prese parte anche alla presentazione dal vivo dell’album.
A partire dal 2016 è entrato poi a far parte del gruppo Paolo La Muraglia con la sua chitarra elettrica, uno strumento che anche se apparentemente poteva sembrare difficile da inserire nel nostro contesto, in realtà può sposarsi benissimo anche con l’arpa celtica, purché ci sia sensibilità e lavoro, come infatti è stato. Questa è la nostra direzione: allargare, aprire sempre di più gli orizzonti, (da cui appunto il titolo dell’album “Open”) senza però dimenticare il filone della tradizione folk irlandese.
Dopo i vari avvicendamenti di organico che si sono succeduti nel tempo all’interno del gruppo, qual è la formazione attuale dei Whisky Trail?
La formazione attuale comprende tre elementi: mia figlia Valentina Corsi alla voce, presente nel gruppo dal 2016, da quando Giulia non era più in grado di venire con noi; poi c’è Paolo La Muraglia alla chitarra e io all’arpa celtica. Del resto siamo stati in tre per molto tempo anche in passato, quando eravamo io, Giulia e Pietro Sabatini.
Nel disco “Open” appare anche Lorenzo Greppi, altro storico musicista dei Whisky Trail, e nel concerto in cui l’abbiamo presentato era presente anche Vieri Bugli, violinista, anch’esso membro del gruppo per diversi anni. Quindi direi che c’è ancora una certa continuità, si mantengono spesso contatti con chi ha collaborato con noi in passato, e la formazione del trio si può allargare anche in quartetto o quintetto a seconda delle situazioni.
Ci fa piacere poi ricordare anche per la sua attualità, visto il periodo di tensione internazionale che stiamo vivendo, l’EP Terezin, che prende nome dalla fortezza-ghetto situata nella ex Cecoslovacchia, in cui i nazisti rinchiusero musicisti, artisti e intellettuali ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
L’album contiene poi un brano che è Canto per Lorenzo Orsetti, dedicato a Lorenzo “Orso” Orsetti, giovane fiorentino che ha perso la vita arruolandosi per combattere l’Isis in Siria a fianco del popolo Curdo.
Il tema centrale è quindi la piaga, purtroppo sempre presente e attuale, della discriminazione razziale dei popoli. Ecco, la musica oggi ha ancora il potere di esorcizzare e di combattere gli orrori della guerra e delle discriminazioni?
In passato avrei detto che sì, la musica rappresenta assolutamente un elemento collettivo di consapevolezza e di presa di coscienza, e in parte certo lo è anche adesso. Tuttavia non è più il fenomeno che era un tempo e ritengo che in gran parte questo sia addebitabile all’involuzione dell’industria musicale.
Mi viene in mente un aneddoto che raccontava Frank Zappa: “Un tempo c’era un signore di una certa età, piuttosto grasso, che fumava il sigaro. Noi andavamo da questo signore a presentargli le nostre nuove idee, assolutamente innovative, e lui, intuendo che potesse funzionare, ci dava carta bianca. E questo è successo a tanti di noi… Poi, dopo un po’, sono arrivati questi giovani esperti dell’industria discografica…”.
Da lì è stato un disastro, perché i canali che questi industriali della musica hanno iniziato a costruire sono diventati una prigione sempre più limitante che ha portato alla grande omologazione musicale che ascoltiamo oggi.
In una storia dei Whisky Trail che ho scritto per un libro un paio di anni fa, dicevo che è come un ripartire in una scena underground. E’ cambiato qualcosa, e se fai questo mestiere adesso lo fai per un’enorme passione e volontà di mantenere per te stesso, e di comunicare a chi ti sta intorno, un certo modo e una certa visione della vita. In questo continuo e continuerò sempre a credere.
D’altra parte è anche vero che questi atteggiamenti da parte delle case discografiche ci sono sempre stati. Ricordo, ad esempio, che anche quando iniziammo noi nel ’75, prima di mandare il nastro di cui si parlava prima a Sciascia, lo mandammo a Ricordi. Ci dissero che apprezzavano molto la musica, tuttavia avrebbero voluto che scrivessimo dei testi in italiano. E questa scelta di campo a noi, da bravi strafottenti giovani post sessantottini che eravamo, non andò assolutamente giù, e così rifiutammo.
Tornando al concerto del 14 Ottobre, come dicevamo sarà al Tuscany Hall di Firenze, teatro in cui avete già registrato un vostro precedente live nel 2008 (all’epoca era il Saschall), dal titolo “San Frediano, un Irlandese a Firenze”. Non tutti, probabilmente neanche tra i fiorentini stessi, sono a conoscenza di questo suggestivo legame tra Firenze e l’Irlanda. Ce lo puoi raccontare?
Un’amica un giorno mi raccontò che San Frediano in realtà era un monaco irlandese. Quindi mi sono subito interessato e ho iniziato ad approfondire la cosa. Intanto, come si può intuire dalla scarsa inclinazione dei fiorentini ai forestierismi, il nome “Frediano” non è certamente irlandese ma è stato adattato appunto in seguito. In realtà Frediano deriverebbe da Frigdianus, ovvero “uomo venuto dal freddo”. Studiando la storia di questo personaggio siamo rimasti sconvolti nello scoprirne la grandezza.
Frediano venne dall’Irlanda in pellegrinaggio in Italia, intorno al 500 d.C., stabilendosi dapprima sui colli pisani e vivendo da eremita, alla maniera dei monaci irlandesi che poi si sparsero in tutta Europa. Molti di loro erano poeti che si portavano dietro una piccola arpa con cui suonavano e accompagnavano i loro canti. In seguito si spostò a Lucca, città di cui diventò vescovo, dove si adoperò per deviare il corso del Serchio (che originariamente era un affluente dell’Arno), risolvendo così i problemi della città che veniva periodicamente alluvionata dalle piene del fiume. La leggenda narra che durante un viaggio a Firenze, mentre tentava di attraversare il fiume in confluenza dell’Arno che era in piena, il futuro santo riuscì a compiere il miracolo di separare il corso delle acque semplicemente sussurrando poche parole. In realtà la soluzione ai problemi delle frequenti piene dell’Arno fu la deviazione e l’interramento, proprio su iniziativa di San Frediano, di alcuni fiumi minori che scendevano dai colli a sud di Firenze. Tra questi il rio Corbulo, che ha dato poi il nome alla zona di Firenze in cui scorreva, ovvero Ricorboli. San Frediano fu quindi davvero un grande personaggio, e per noi fiorentini, che facevamo musica irlandese, veramente suggestivo.
Nel corso della vostra attività avete fatto tantissimi concerti non solo in Italia ma anche all’estero, ad esempio in Svizzera, Spagna, Germania e Portogallo. Come hanno influito queste esperienze nel vostro percorso? Ci sono differenze nel modo in cui realtà di pubblico di paesi e contesti diversi hanno accolto ed accolgono la vostra musica?
Sì, abbiamo fatto molti concerti anche all’estero, e devo dire che abbiamo riscosso sempre un grande successo, vendendo anche molti dischi tra il 1994 e il 2004. Contestualmente abbiamo assistito proprio al cambiamento del mercato discografico. Fino al ‘97, avevamo la fila ai concerti per acquistare il CD; nel 2000 ce n’erano di meno, nel 2004 ancora meno, proprio per effetto generale della radicale trasformazione dell’industria musicale. Ci rendevamo conto che stava morendo proprio il concetto di “disco”, come oggetto fisico, quasi come si trattasse di un feticcio di un non tanto lontano passato.
Ho un bel ricordo del Portogallo, in cui abbiamo fatto una tournée di 40 concerti in 50 giorni, girandolo praticamente da cima a fondo. Un paese bellissimo che ci lasciò una nostalgia incredibile quando ripartimmo. E le persone lì avevano un carattere molto tranquillo: ricordo che durante i nostri concerti provavamo in certe occasioni a far battere loro le mani, e spesso bisognava aiutarli a tenere il ritmo, mentre ad esempio in Spagna, in una situazione simile, ti avrei fatto sentire…! Comunque, al di là delle differenze, abbiamo sempre constatato come la nostra musica riuscisse a fare breccia nella gente, questo sì.
Infine, tornando all’evento del 14 Ottobre, si legge sempre in un post sulla vostra pagina Facebook che sarà una grande festa: sul palco non solo i Whisky Trail ma anche tanti altri artisti e amici. Cosa potete anticiparci?
Certo, gli amici sono prevalentemente musicisti e artisti che hanno fatto parte o hanno collaborato con i Whisky Trail nel tempo. Per esempio Alberto Massi, senese, uno dei migliori musicisti di cornamusa scozzese che abbiamo in Italia e non solo. Ha fatto con noi una parte di “San Frediano, un Irlandese a Firenze” che ricordavamo prima, e sarà con noi il 14 Ottobre. C’è un testo di Giulia che parla proprio della cornamusa scozzese, e quindi vorremmo creare questa suggestione all’inizio, tra il testo di Giulia e la musica della cornamusa in sottofondo.
E poi tanti altri… ci sarà Cristina Borgogni, una bravissima attrice che leggerà degli scritti di Giulia, in vari momenti durante la serata. Saranno presenti un coro e il quartetto d’archi della scuola di musica di Fiesole, condotto dal maestro Edoardo Rosadini, che parteciparono alla realizzazione di Terezin e Canto per Lorenzo Orsetti. A questo proposito sono stati invitati, con molto piacere, proprio i genitori di Lorenzo, che saranno in sala come lo furono la sera del concerto in cui presentammo il brano in omaggio del figlio. Quella sera saranno con noi anche Massimo Giuntini, cornamusa irlandese, e Luca Busatti, chitarra, anche loro storici componenti dei Whisky Trail.
E ci saremo volentieri anche noi, il 14 Ottobre al Tuscany Hall di Firenze. Grazie Stefano Corsi per aver condiviso i ricordi del vostro bellissimo percorso e la ricerca culturale e la passione profonda che lo sostengono.