Una questione di cuore: conversando con Valentina Santini
Siamo molto felici di condividere con tutti voi la nostra chiacchierata con Valentina Santini a proposito del suo romanzo d’esordio, L’Osso del Cuore, uscito quest’anno con Edizioni e/o, che ci ha sorpreso e incantato per la profonda crudezza della narrazione e lo spregiudicato candore dei suoi personaggi.
La prima domanda è quella che noi di Enjoyblog abbiamo desiderato farti dal momento in cui abbiamo letto l’ossimorico titolo del tuo romanzo. Cos’è l’osso del cuore? È qualcosa che il cuore ha dentro fin dalla nostra nascita o è piuttosto una callosità che sviluppa in seguito, per ripararsi dalle avversità della vita? In ogni caso, qual è il suo valore simbolico?
Dare il titolo a un romanzo è una faccenda cruciale: si tratta di condensare in poche parole il senso di una storia. L’osso del cuore racchiude tanto di quello che ho provato a toccare nel libro. Il corpo, per esempio, che somiglia molto a un luogo, uno scenario nel quale accadono cose. L’anatomia e la fisicità giocano un ruolo importante e permeano la vicenda; il titolo voleva richiamare anche questo aspetto. E poi è palese: il cuore non ha l’osso, eppure… Alzando un’immagine come questa mi sembrava di raccontare un’altra questione cruciale per la storia: i danni. In qualche modo siamo tutti il risultato di ciò che ci accade; i personaggi del romanzo non fanno eccezione. Quell’osso che si trova dove non dovrebbe stare prova a dire un po’ anche questa cosa qua: siamo il risultato di tante cose, siamo pieni dei danni che le circostanze ci causano (e non è necessariamente un male). Il punto, forse, è riuscire a guardarli questi maledetti danni, queste ossa nel posto sbagliato, e amarsi e amare lo stesso.
La lettura de L’osso del cuore ci ha dato l’impressione che tu avessi proprio una specifica storia da raccontare, una storia che, in qualche modo, ti apparteneva e dovevi condividere con noi lettori. Sei d’accordo? E se non lo sei, qual è allora la genesi di questo libro?
Il germe del libro nasce insieme a mia figlia. Travaglio lunghissimo, cesareo d’urgenza. Quando finalmente posso abbracciarla, una signora mi domanda se durante l’operazione non avessi avuto paura che mi portassero via la bambina. Ovviamente no, perché avrebbero dovuto?
Poi ci rifletto: la donna che mi aveva fatto questa domanda aveva partorito la sua primogenita a Buenos Aires, in un ospedale militare, nel 1983 – il regime era finito da un minuto. Comincio così a mettere insieme i pezzi: mi informo, leggo, studio. Il termine desaparecidos diventa qualcosa di più di un’eco di Storia che ho sentito tante volte, così come le torture, i voli della morte… Scopro las Madres de Plaza de Mayo, donne che durante il golpe militare hanno fatto la vera resistenza e che ancora oggi scendono in piazza ogni giovedì per rivendicare i figli e i nipoti scomparsi per mano del regime. Non riesco a capacitarmi dell’abominio che ha colpito un’intera generazione. Un pezzo nero di Storia che ci è accaduta un secondo fa, e che ancora oggi pulsa nelle vite delle persone coinvolte. Le mamme – adesso nonne – marciano, portano avanti le loro battaglie e chiedono a un’intera generazione: ¿Vos sabés quién sos? Tu sai chi sei?
È così che trovano i nipoti, invitandoli a porsi delle domande, a indagare sulla loro identità, ad andare a farsi un test del dna che permetta loro di riappropriarsi delle loro origini. E li trovano. Uomini e donne ormai adulti costretti a rinegoziare un’intera esistenza alla luce di questo fatto: sono figlio/a di desaparecidos; quelli che io chiamo mamma e papà non sono altro che i carnefici dei miei genitori biologici.
Come si rimette al mondo un individuo dopo una rivelazione del genere? L’osso del cuore prova a guardare questa domanda.
I due protagonisti del libro, Esodo e Asma, sono personaggi davvero intensi di cui è molto interessante seguire l’evoluzione nel corso della storia. Altrettanto affascinante è la figura di Laura. Come hai ideato questi personaggi? E li hai pensati in funzione della storia o erano figure che avevi già in mente prima con tutte le loro sfaccettature?
Laura è stato il primo personaggio che ho trovato. Quando mi sono messa a scrivere avevo l’intenzione chiara di parlare delle Mamme e della compravendita dei bambini. In origine la storia doveva girare intorno a lei e alla sua vicenda. L’identità era un tema pulsante.
Poi è arrivata Asma, una bambina che conosce solo una realtà alterata, quella della comune di Casa Libertà all’interno della quale vive; non ha mai visto il mondo fuori, non conosce altro che la verità storta e deformata che le hanno proposto lì dentro. Casa Libertà è un luogo all’apparenza accogliente, ma che nasconde un’altra faccia – ho preso ispirazione da Colonia, un luogo simile realmente esistito in Cile. Punizioni, vessazioni, scaramanzia… Asma con la sua innocenza crudele ha in qualche modo normalizzato e accolto le regole di quel posto.
Scrivere con la voce e i pensieri di Asma è stato come indossare un’altra pelle. Il personaggio ha fatto tutto da sé (so bene che suona estremamente patetico e romantico: la faccenda dei personaggi che prendono vita e si scrivono da soli è un po’ fritta e rifritta, ma tant’è…). Incontrare Asma ha dato una virata inaspettata alla storia, non ho potuto fare altro che seguirla. E poi Esodo. Anche lui l’ho scoperto scrivendolo. Ma è stato abbastanza facile, ho dovuto soltanto fidarmi di loro e non tradirli.
Con particolare riferimento a Asma, la sua disabilità (di cui non si conosce l’origine) è una caratteristica che la rende speciale. Eppure, il personaggio brilla di una luce particolare per tutt’altre ragioni che nulla hanno a che vedere con il suo fisico. Come sei arrivata a pensare a Asma? E perché l’hai immaginata così?
Il corpo, lo dicevo anche prima. Tutti i personaggi in qualche modo hanno scritto addosso qualcosa che li rende quello che sono. Ognuno ha i suoi danni: Asma ha un braccio più corto – il destro, e a Casa Libertà usare la mano sinistra per fare le cose è considerato demoniaco; Esodo è molto molto bello; Lupo ha una patologia che lo ha sfigurato; Laura ha una cicatrice sulla pancia e così via. “Come sopra così sotto” dice uno dei principi della corrispondenza dell’ermetismo, e in qualche modo è vero: ogni cosa che è in superficie racconta qualcosa che si trova più nel profondo, sta a noi leggerla nel modo giusto. Fino a quando Asma è stata all’interno di Casa Libertà la sua identità coincideva con il suo braccio più corto, nessuno riusciva a vedere altro di lei. Poi accade Esodo. Lui è il primo che riesce a cogliere la sua vera essenza e a scorgere la poesia – passami la definizione un po’ ardita – nei danni. Il nodo è qua: essere ciò che siamo, senza dover “guarire” o normalizzarsi per forza, e avere la fortuna che qualcuno ci veda davvero e ci ami lo stesso. Non è stupendo quando succede?
Ma ho divagato, forse. Asma è arrivata a blocco intero. Non l’ho costruita un pezzo alla volta, limandola e aggiustandola con il progredire della narrazione. È successo al contrario: lei è arrivata così. Ho trovato la sua voce, e già nelle sue parole, nel suo modo di raccontare c’era tutta lei, ho solo dovuto rispettarla.
Abbiamo trovato molto potente ed efficace l’ambientazione della storia – che riprende le atroci vicende dei desaparecidos e della “guerra sporca” argentina – in uno spazio senza tempo in Italia. Buenos Aires diventa Firenze, con le sue strade e la sua atmosfera. Ti è stata facile questa trasposizione? Perché hai sentito la necessità di un’operazione di traslazione geografica (e storica) di questo tipo? E come sei arrivata a scegliere Firenze?
Oggi è giovedì, e le mamme marciano su piazza di Maggio. È successo anche giovedì scorso, e anche quello prima. Sono più di quarant’anni che accade. È un pezzo di Storia recente, che sanguina, che pulsa e riempie le piazze. Molti dei protagonisti di quella vicenda sono ancora vivi e hanno tanto, tantissimo da dire. Chi sono io per raccontare questi eventi? Davvero potevo arrogarmi il diritto di mettermi in cattedra a dire: ve lo spiego io quello che è successo.
No, non potevo.
Lasciare i fatti nei vicoli di Buenos Aires equivaleva ad appropriarmi indebitamente di qualcosa che non posso sapere. Ci sono libri e saggi sull’argomento molto più interessanti di qualsiasi cosa avrei potuto scrivere io. Non potevo rubare quelle vite, quegli accadimenti, quegli odori. Non mi sarebbe riuscito restituire una certa argentinità ferita. Ma la vicenda mi toccava talmente tanto che non mi era possibile ignorarla. Ho provato a traslarla, ad avvicinarla da quest’altra parte dell’oceano. È roba che parla di noi più di quanto immaginiamo (abbiamo un papa argentino, per dire). E ho cercato di andare al di là della Storia, dei nomi. I regimi, tragicamente, si somigliano un po’ tutti; questo in particolare mi toccava in un punto preciso, doloroso. Dovevo metterci le mani e provare a guardarlo. La scrittura serve anche a questo: provare a guardare le cose, a nominarle, a girarle.
Nel libro ha un ruolo centrale la tecnica di conservazione del corpo umano della “plastinazione”, che, nella storia, ci pare però venga ad assumere un significato altamente metaforico. Asma, anche se piccola, padroneggia questa tecnica con apparente freddezza e competenza. Ci racconti perché hai deciso di dare a Asma questa abilità?
Di nuovo: Asma era così dall’inizio. Ha vissuto in un posto che ha cercato di addomesticarla e piegarla nell’indole. Lei non ha potuto fare diversamente. I bambini – tutti – tendono a normalizzare e ad adeguarsi al contesto in cui crescono; così ha fatto lei. Se le avessero fatto fare le forme con la plastilina, probabilmente sarebbe stata brava in quello. Casa Libertà non è un luogo montessoriano. L’anatomia è materiale con il quale si è costretti a familiarizzare appena si viene al mondo.
Mentre stavo scrivendo il romanzo ho visto su Internet che a Roma ci sarebbe stata una mostra particolare: Real body. Statue di corpi veri. Cadaveri donati alla scienza sottoposti a un procedimento particolare che prevedeva l’eliminazione dei liquidi e bagni di resina per metterli in posa. Anatomia e arte, morte e vita che si incontrano.
Andai a Roma per vederla.
L’articolo raccontava anche che spesso i visitatori ne uscivano tramortiti; non era infrequente che svenissero durante la visita nelle varie sale.
È vero. La mostra dei corpi plastinati è un’esperienza forte, non per tutti. Ma bellissima. Il nostro corpo mostra connessioni meravigliose con il mondo della natura, è stupefacente vedere come siamo fatti dentro. Le arterie sono fiumi, i polmoni alberi.
Ne L’osso del cuore l’arte ricopre un ruolo importante, specialmente per Esodo. In generale mi viene da pensare che sia un modo che l’uomo ha trovato per raccontarsi e vedersi raccontato. Ci sono opere di centinaia di anni fa che ci riverberano addosso e ci parlano di noi in maniera inspiegabile. L’umanità si è costruita e si costruisce attraverso cose così: dipinti, fotografie, sculture, musica, libri… Sono tutte storie, alla fine.
Gunther Von Hagens, l’inventore della plastinazione, fa un tentativo in questa direzione: ci schiaffa addosso qualcosa che parla di noi. Lo fa in un modo parecchio frontale, forse discutibile; ma c’è un aspetto che più di tutti mi ha colpito: il suo coraggio – e per me la scrittura ha a che fare tanto con questa faccenda del coraggio. Lui non solo cerca di rompere il tabù della morte – tema delicato e da toccare sempre con le molle – ma si spinge oltre, affrontando un tabù ancora più grosso: quello dei corpi morti. Non potevo non raccontarlo.
Il libro finisce con una sorta di catartica proiezione nel futuro nella quale vediamo come concludono la propria vita alcuni dei personaggi che, nel corso della storia, hanno mostrato tutto il loro lato oscuro. Noi abbiamo trovato quasi liberatorio questo finale, sia per i lettori che per la protagonista. Era questo il tuo intento?
Sono laureata in psicologia, e forse proprio per questo temo moltissimo le persone “risolte” o che si vendono come tali. L’ho detto più volte: i miei personaggi sono danneggiati, le persone in generale lo sono. Io per prima sono piena di danni e faticherei a svegliarmi un giorno e scoprire che non ci sono più. I danni ci rendono ciò che siamo, e ci fanno agire in coerenza con il nostro modo di essere – sto banalizzando e semplificando molto, me ne rendo conto. Asma ed Esodo non fanno eccezione. Mi sarebbe sembrato di far loro uno sgarbo incredibile a scrivere un finale alla “vissero tutti felici e contenti”, che pure in qualche modo è vero. La loro indole, i loro demoni non sono magicamente scomparsi; non potevo fare altrimenti che rispettare le loro storture e agirle.
Adesso parliamo un po’ di te. Nel risvolto de L’Osso del Cuore si legge che sei una editor, copywriter e sceneggiatrice della serie tv interattiva Il Confine di Moebius: quanto hanno influito queste tue attività nel processo di scrittura de L’Osso del Cuore? Ti senti comunque e prima di tutto una scrittrice?
Secondo anno d’asilo. Ancora non sapevo scrivere, ma la mia amica Debora sì. Un giorno le chiesi se poteva prendere carta e penna perché avevo un romanzo da dettarle. La storia iniziava così: “Siamo tre giovani ragazze con un sogno…” fortunatamente ho rimosso il resto, ma mi ricordo che fece un piccolo clamore (un paio di giorni, nulla di più). Volevo fare la scrittrice, di questo ero certa già a cinque anni (ho avuto anche la fase insegnante di aerobica, di inglese, psicologa e strega).
Suona arrogante, forse, ma io scrittrice lo sono da sempre.
È un romanzo pubblicato che mi rende tale? O forse ne servono almeno tre? Importa che sia la mia fonte di reddito a dirlo? Non lo so, davvero. Ho lottato così tanto e mi sono scontrata (e mi scontro tutt’ora, anzi forse sempre di più) con le parole che mi sono fatta una promessa: se qualcuno mi chiede di scrivere qualcosa, nei limiti del possibile, la mia risposta è sì, sempre!
La pagina è un’arena bellissima e sfiancante. Il mondo della scrittura mi dà una soddisfazione ogni cento frustrazioni, ma non posso fare diversamente. Lo accennavo anche prima: il coraggio, molto di quello che cerco di fare gira intorno a questo aspetto. Non credo che sia una cosa che riguarda tutti, e probabilmente tra qualche tempo lo scrivere toccherà altre corde, ma per ora appoggia qua.
La mia dimensione ideale è il romanzo (ne ho altri sei pronti), ma mi piace moltissimo anche la scrittura per il cinema. Sono comunque due mondi vicini anche se molto diversi. Quello che ti chiede una sceneggiatura è una cosa a sé che fa capo a regole, costruzioni e immagini molto peculiari. Mi piace moltissimo rendermi conto di avere ancora tanta strada da fare per impugnare bene le parole. È quel mattone sul fondo dello stomaco, quell’intuire un qualcosa ma non saperlo agguantare del tutto che mi fa venire voglia di studiare e imparare a più non posso. E scornarmi con le pagine.
Infine, hai già scritto o hai in mente il prossimo romanzo?
Qualche giorno fa sono entrata in una libreria di Sanremo. L’osso era lì, di piatto, su uno scaffale. Mi è venuto da piangere per la felicità. Mi è successo anche a Firenze, ad Ancona, a Empoli, a Livorno… Ogni volta piango. Non mi sono ancora abituata a questa cosa che scrivi i libri, te li pubblicano e te li ritrovi esposti senza preavviso. Spero che mi succeda per tutta la vita.
In questo momento sto scrivendo una storia di zombi (lo so, me lo avessero detto non ci avrei creduto), ma ho altri due romanzi per le mani e un soggetto per il cinema. Sul desktop del mio computer c’è una cartella che si chiama Romanzi; dentro ce ne sono sei, cinque dei quali mi sembrano abbastanza decenti per essere pubblicati (li hanno letti solo due persone, una di queste è mio marito – sembro molto meno attendibile adesso, vero?).
Qualche giorno fa è uscito un mio racconto per la raccolta Halloween killers, racconti horror per non dormire edito da Sága edizioni. Entro fine anno dovrebbe uscire un altro racconto, sempre all’interno di una raccolta, questa volta edito da Arcana.
Spero di tornare in libreria a breve anche con un nuovo romanzo, intanto mi lascio sorprendere ogni volta che vedo la copertina de L’osso del cuore su qualche scaffale.
Grazie Valentina per questa intervista e il tempo che ci hai concesso e speriamo di riaverti nostra ospite con il prossimo romanzo. Nel frattempo, consigliamo vivamente alle nostre lettrici e ai lettori il bellissimo L’Osso del Cuore!