Luisa Noli, un talento a tutto tondo
Qualche settimana fa abbiamo avuto il piacere di assistere al suo spettacolo ATA. A teatro ancora, un monologo in cui Luisa recita, canta e suona, intrattenendo il pubblico con leggerezza e maestria. La poliedricità del suo talento ci ha subito attirato come una calamita e pochi giorni dopo, eccoci a parlare con lei.
Ciao Luisa e grazie innanzitutto per aver accolto il nostro invito a raccontarci un po’ di te. Domanda pressoché d’obbligo è chiederti da dove deriva tanto e tale eclettismo di cui nel tuo spettacolo offri un bel saggio!
Beh, devo dire che la mia formazione è stata per così dire un po’ “schizofrenica”, nel senso che ho sempre puntato più sulla varietà che sull’eccellenza. Io sono nata come ballerina, il mio primo amore è stato la danza, ma in parallelo ho studiato musica, diplomandomi in pianoforte al Conservatorio. Così intorno al 2000 ho esordito da professionista come ballerina di danza jazz.
Qual è stato il tuo primo spettacolo?
Si trattava dello spettacolo teatrale di Woody Allen, God, trasformato in commedia musicale, Deus ex machina, da Pino Quartullo che ne era il regista, con musiche di Stefano Reali. Fra l’altro anche noi ballerini, chiamati ad interpretare un coro greco comico, avevamo parti recitate. Fu una bellissima esperienza, facemmo più di cento repliche, e proprio allora mi resi conto di avere la malattia del teatro. Ricordo che mentre le mie colleghe danzatrici durante gli stacchi andavano in camerino, io rimanevo dietro le quinte a guardare ossessivamente la commedia per sentire le reazioni del pubblico, facendo attenzione ai tempi comici, aiutata in questo anche dalla mia formazione musicale, e ho cominciato a sentire dentro di me questo moto che mi spingeva verso la recitazione. Così ho cominciato a studiare.
Come si è sviluppato il tuo percorso di attrice?
Purtroppo non ho potuto fare l’Accademia, che presuppone che tu stia lì per otto ore al giorno; ero già grande e mi dovevo mantenere da sola, quindi ho continuato a lavorare come ballerina e in parallelo ho portato avanti la mia formazione treatrale con laboratori e master class… poi tanta, tanta formazione sul campo e lì davvero ho fatto un po’ di tutto, a partire dal musical, facilitata dal fatto che nella mia formazione musicale c’è anche il canto.
Dopo l’esperienza con Quartullo ho lavorato in due produzioni con Tato Russo, regista, attore e drammaturgo napoletano: Sogno di una notte di mezz’estate e I Promessi Sposi in musical, nel primo sono stata scritturata come danzatrice, nel secondo come cantante, attrice e ballerina.
Abbiamo fatto tourneé in tutta Italia, erano spettacoli molto grossi, lunghi, belli ma difficili e molto faticosi: duravano tre ore, con cambi di scena e di costume molto veloci. Spesso facevamo la matinée e il serale oppure la pomeridiana e il serale e, nel secondo caso, giusto il tempo per un breve stacco e poi eri di nuovo sul pezzo. Ricordo che i sarti, spettacolo dopo spettacolo, continuavano a stringerci i costumi… ma ero giovane e lo potevo fare, adesso morirei!!
Posso dire davvero di essermi fatta le ossa, di aver imparato il mestiere.
Senza dimenticare l’esperienza con il teatro per i ragazzi, produzioni bellissime con la compagnia stabile “Le Nuvole”. I bambini sono un pubblico molto esigente: se lo spettacolo non diverte loro non dissimulano…
E più di recente?
Una parte della mia attività è dedicata all’insegnamento poi faccio il clown-dottore presso il Meyer e le RSA, un’esperienza difficile e bellissima al tempo stesso, ci sono situazioni pesanti da affrontare ma mi è altrettanto difficile lasciare. Con l’associazione per cui lavoro porto avanti quest’attività dal 2006 e, come potete immaginare, è un’esperienza che ha formato molto anche la mia identità.
Adesso in che direzione stai andando?
Negli ultimi anni ho voglia di puntare di più sul mio lato attoriale: il tempo stringe, l’età avanza e in fondo il bagaglio esperienziale e la preparazione ormai ci sono, anche se non si finisce mai di imparare e si impara sempre da tutti, compreso da chi ha meno esperienza di noi.
Parliamo un po’ del tuo spettacolo ATA. A teatro ancora: com’è nato?
È nato in piena pandemia, quando, preoccupata per il mio lavoro, mi chiedevo cosa avrei fatto e, pensando ad un piano B, mi sono iscritta alle liste ATA della scuola. Questa decisione ha fatto nascere dentro di me un moto di ribellione; dopo vent’anni la sola idea di abbandonare le scene mi ha provocato un dolore esagerato. Lo spettacolo è nato così ed è giocato sul dialogo tra una voce fuori campo, la mia coscienza razionale, e la mia “me” attrice che, ricordando la sua carriera, non riesce a mollare, con tanto di colpo di scena finale!
In scena canti suoni reciti, si apprezza l’ampiezza del tuo bagaglio formativo, e si nota come nelle tue corde ci sia tanta romanità e napoletanità.
Beh, io ho origini napoletane, sono nata in Toscana ma i miei genitori sono napoletani e il mio primo amore è stato Eduardo De Filippo. Nello spettacolo ho inserito monologhi come quello di Filomena Marturano, di Franca Valeri… Ed è la prima volta che mi cimento in uno spettacolo in cui sono sempre sola in scena; in passato avevo fatto cose più brevi in napoletano, ma avevo voglia di vedere cosa sarebbe successo con un monologo di circa un’ora, se il pubblico mi avrebbe seguito: insomma, ho voluto mettermi alla prova.
Assistendo allo spettacolo, la sensazione è stata quella di una scrittura leggera ma con un vissuto profondo… d’altra parte quello dell’attore, come quello di chiunque viva di arte, non è solo un lavoro.
No infatti, è la vita, e quando si mette su uno spettacolo la molla è l’urgenza di dire qualcosa, e qui l’urgenza c’era. E’ chiaro che poi la forma può sempre essere migliorata, ma uno spettacolo migliora con il tempo, con il ritorno e la risposta del pubblico. Ci vorrebbero 50 repliche!
Il teatro è un mestiere antico che richiederebbe tempi antichi, ma oggigiorno non abbiamo più una tempistica “umana”. Una volta gli spettacoli si facevano dal martedì alla domenica, ora è già tanto se si lavora dal giovedì alla domenica.
Una futura data del tuo spettacolo?
Il prossimo 5 agosto torno in scena nell’ambito della rassegna Momo, presso il Caravanserraglio di Montemorello, una rassegna molto interessante sotto la direzione artistica di Roberto Caccavo, Aldo Gentileschi e Niccolò Curradi, con oltre 50 eventi in cartellone.
Hai già nuovi progetti nel cassetto?
Vorrei muovermi in due direzioni. Tanto tempo fa sono stata all’Archivio diaristico con Gianna Deidda, amica carissima e attrice splendida che ora non c’è più. L’Archivio diaristico si trova a Pieve Santo Stefano ed è un luogo pazzesco dove vengono deposistati i diari personali che possono essere consultabili come no. Di fatto è una banca di storia. Gianna aveva pensato di fare uno spettacolo su Clelia Marchi, una donna che, con solo la seconda elementare, ha sentito il bisogno di raccontare la sua storia e l’ha fatto scrivendola su un lenzuolo. È una cosa di una potenza incredibile, che Gianna non ha avuto il tempo per realizzare. Vorrei perciò raccogliere questa eredità portando in scena Clelia, rendendo così omaggio a Gianna, sperando di esserne all’altezza.
L’altro ambito cui vorrei dedicarmi è l’audiovisivo: ho avuto già piccole esperienze e mi piace molto. Certo è una dimensione molto diversa: il teatro è molto concentrato, faticoso ma è tutto lì, mentre il set richiede una concentrazione lunga e devi essere preparato sul personaggio che vai a raccontare, perché non si gira in ordine cronologico; magari giri prima il finale e poi l’inizio, quindi devi avere una notevole dose di elasticità. Di conseguenza mi sono rimessa a studiare perché l’approccio davanti alla telecamera è molto diverso da quello sul palcoscenico: la preparazione teatrale è utilissima, ma poi devi lavorare in sottrazione.
Mi sono diplomata in recitazione cinematografica con Marta Gervasutti e di recente ho fatto un cortometraggio a Milano che sarà proiettato al cinema Anteo il prossimo 19 luglio.
Per concludere: sai che noi ci occupiamo anche di artigianato e abbiamo scoperto che tu sei anche una brava ceramista!
È vero, come attività collaterale faccio la ceramista, una passione nata ai tempi della scuola elementare. Il semino piantato allora è sbocciato poi una decina di anni fa, quando mi sono decisa a frequentare un laboratorio con un maestro tornitore e una decoratrice e, piano piano, mi sono presa tutta l’attrezzatura. Ecco, questa è un’altra attività che ti riporta a tempi antichi, quelli della terra, dell’argilla.
La creatività, nelle sue diverse forme, anche quella del manufatto, ci mette in contatto con una parte sana e vitale di noi e, vi dirò, quando mi dicono che sono “un’artista” io rispondo che piuttosto mi considero un’ “artigiana” del teatro. L’artista è un’altra cosa, è un Caravaggio che ha un segno distintivo che riconosciamo nei secoli, è un Charlie Chaplin che ha creato un personaggio che prima non c’era; io non creo nulla di nuovo, provo, con il mio mestiere di attrice, a suscitare emozioni raccontando una storia in cui il pubblico possa riflettersi e ritrovarsi.
E, aggiungiamo noi, Luisa ci riesce benissimo!