Giovannetti e Schultz: l’arte liutaria degli antichi Maestri
Per un’amante della musica e un’appassionata dell’artigianato, la bottega di un liutaio assume un fascino difficile da descrivere. È il luogo dove tutto comincia, dove lo strumento prende prima forma, poi vita e infine voce.
Ecco perché varcare la soglia del laboratorio di Andrea Giovannetti e Kyle Schultz, nel borgo vecchio di Pontassieve, e poter conversare con loro cercando di conoscere e comprendere la complessità e la bellezza del loro lavoro, è stata un’esperienza davvero entusiasmante.
Bellissima l’atmosfera all’interno del laboratorio, con il suo stile essenziale e moderno eppure di sapore antico, come antica è l’arte e la tecnica di questi due giovani liutai.
Ho letto sul vostro sito web (https://www.giovannetti-schultz.com/) che entrambi avete iniziato a studiare il violino ancora piccoli. Qual è stata la molla o il percorso graduale che, a partire dallo studio iniziale della musica vi ha portato ad appassionarvi alla meccanica e alla costruzione dello strumento?
GIOVANNETTI – Nel mio caso si è trattato di un interesse molto precoce. Quando iniziai a studiare il violino, come capita di frequente agli inizi, avevo uno strumento di pessima qualità che produceva un suono terribile.
Un amico di famiglia, che faceva il liutaio per hobby, me ne prestò uno dei suoi di qualità nettamente superiore e quando andavo da lui, per provare e scegliere lo strumento, ogni volta ne vedevo uno nuovo, leggermente diverso per colore, forma, legno e anche come suono. Quindi si può dire che fin da subito ho sviluppato una certa attenzione verso le diversità intrinseche degli strumenti e mentre, qualche anno dopo, ho abbandonato lo studio del violino, ho invece continuato a frequentare quel laboratorio prendendone parte attiva. Certo lo studio del violino mi ha aiutato a sviluppare la capacità di ascolto delle caratteristiche acustiche dello strumento, il timbro, più chiaro o più scuro, la maggior o minor proiezione, l’asprezza o la dolcezza, tutte cose fondamentali per il nostro lavoro.
SCHULTZ – Ho iniziato lo studio del violino da bambino, continuando per molti anni. Il primo violino l’ho costruito a 16 anni quando ancora ero in Sudafrica. Dopo un paio di anni mi sono trasferito in Inghilterra dove mi sono diplomato presso la Newark School of Violin Making and Repair, molto nota a livello internazionale. Il mio approccio è focalizzato sul restauro così come nella costruzione degli strumenti ad arco.
Nel 2021 è iniziata la vostra collaborazione fino ad arrivare, nel 2022, all’apertura di questo laboratorio. Come vi siete conosciuti e com’è maturata questa decisione?
GIOVANNETTI – All’inizio ho cominciato per hobby. All’indomani della laurea in biologia molecolare ho vissuto un periodo di smarrimento, dal punto di vista lavorativo, perché in quel momento la mia formazione scientifica non mi offriva molto. Però, fortunatamente, avevo questa passione che ho potuto trasformare in lavoro. Sono stato fortunato nel trovare un maestro liutaio che mi potesse insegnare in una bottega, cosa già allora molto rara.
Accantonando l’idea romantica dell’artigiano che costruisce uno strumento alla volta, un aspetto fondamentale che si apprende in bottega, al di là delle caratteristiche tecniche e stilistiche di un maestro piuttosto che di un altro, è il flusso di lavoro, ovvero un’organizzazione nel modo di lavorare che garantisca, alla fine del mese, l’uscita di un numero sufficiente di strumenti tale da consentire la sopravvivenza della bottega stessa.
Ho studiato a Trento con Luca Primon poi a Londra con Andreas Hudelmayer dal quale ho appreso la tecnica per la copia degli strumenti antichi e sempre a Londra, nel 2019, ho conosciuto Kyle che stava studiando costruzione e restauro e quindi abbiamo pensato che nel giro di qualche anno gli interessi di entrambi sarebbero stati utili per un fine comune, perché copiare uno strumento antico, che è quello che facciamo qui, significa anche inserire quelli che, negli strumenti antichi, sono restauri effettivamente presenti.
Un lavoro che richiede tanta precisione e attenzione come il vostro, immagino presupponga una grande sintonia.
GIOVANNETTI – Sì, e per molte cose ci compensiamo. Kyle ha un controllo estremo degli attrezzi che sono sempre affilatissimi, mentre io amo concentrarmi sulla verniciatura piuttosto che su operazioni di estrema precisione che Kyle esegue in modo estremamente accurato e disinvolto al tempo stesso.
SCHULTZ – Alla fine lo strumento è composto da una cassa e dal manico. L’incastro del manico deve essere eseguito con un’estrema precisione e la mortasa deve combaciare perfettamente nel tenone e tenere presa anche senza colla, che viene applicata per aggiungere forze capillari che creano il vuoto ed aumentano la resistenza del sistema.
Voi siete specializzati nella costruzione di strumenti ad arco ed in particolare nella copia dei grandi Maestri liutai di fine Seicento e del Settecento, come Antonio Stradivari e Giuseppe Guarnieri del Gesù. Potete raccontarmi qualcosa di più del vostro modo di lavorare?
SCHULTZ – Il lavoro è tutto manuale, utilizziamo esclusivamente attrezzi da taglio in ogni passaggio della costruzione. Per le colle usiamo colle animali come chiunque costruisca strumenti musicali ad arco, perché sono perfettamente reversibili: con acqua e calore si sciolgono ed è più semplice intervenire per fare riparazioni.
Secondo voi qual è il motivo per cui, a distanza di tre secoli, gli strumenti originali di quei Maestri liutai, mantengono una fama e acquisiscono un valore sempre crescente? Qual è stata la grandezza ad esempio di Antonio Stradivari?
GIOVANNETTI – Stradivari ha avuto delle intuizioni, ha inventato uno stile, ha imparato dai suoi maestri, i grandi liutai della metà del XVII secolo, e durante la sua vita ha utilizzato la sua conoscenza per trasformare il suo lavoro nel suo stile che oggi noi associamo prevalentemente al “periodo d’oro” della sua produzione.
Bisogna pensare che non lavorava da solo, aveva una grande bottega da cui sono usciti centinaia e centinaia di strumenti. Era già ricchissimo da vivo, i suoi strumenti erano ricercati dai musicisti più famosi e apprezzati dell’epoca e questo, in una sorta di circolo virtuoso, ha contribuito ad accrescere il valore degli Stradivari, perché uno strumento, quando è suonato da eccellenti musicisti suona ancora meglio.
L’alta richiesta e la scarsa disponibilità fanno sì che la quotazione degli Stradivari salga. Ecco perché molti sono in possesso di fondazioni, banche, o di violinisti solisti che se li possono permettere. Ci sono degli Stradivari che costano 20 milioni di euro, altri che ne costano meno.
Oltre alle copie di strumenti antichi costruite anche delle versioni vostre, sia pur sempre antichizzate?
SCHULTZ – Ci stiamo spostando stilisticamente anche in quella direzione, non solo sulla copia, qualcosa che abbia in sé un’originalità, ma comunque che sia verosimile sia per lo stile che per il suono.
Per finire vorrei sapere qual è, per voi, l’aspetto di maggior gratificazione di questo lavoro?
GIOVANNETTI – SCHULTZ – Ci sono tanti momenti di soddisfazione, ma sopra ogni altra cosa l’aspetto più bello e gratificante è essere riusciti a trasformare una passione in lavoro e poter vivere della nostra arte.