Quando la creatività si sposa con la meccanica: La Strana Officina
Un negozio di bici? Che c’entra con noi? Quando ci è stato segnalato, non era molto chiaro il perché. Ok, magari per il lato manuale, artigianale, ma la creatività? Varcata la soglia del negozio-laboratorio, la perplessità ha rapidamente lasciato il posto ad una piacevolissima sorpresa.
Sì, perché la Strana Officina non è un negozio di bici, o almeno non lo è nella sua accezione tradizionale, piuttosto una fucina di idee, un connubio felicissimo tra creatività e meccanica.
Sperimentare, mettersi alla prova, sono le parole d’ordine da cui nascono progetti unici: qui i tanti appassionati di bici, ma più in generale di meccanica, possono non solo ammirare i modelli già realizzati ma anche dare forma al proprio progetto di bicicletta personalizzata, grazie alla professionalità e al lavoro certosino del titolare, Marco Batistoni, e alla squadra di artigiani coinvolti nella realizzazione dei suoi modelli.
E proprio Marco ha gentilmente accettato di riaprire il bandone del suo negozio, dopo l’orario di chiusura, per raccontarci qualcosa di più del suo lavoro e soddisfare la nostra curiosità.
Partiamo dal nome, “La Strana Officina”, che peraltro calza perfettamente: è vero che dietro a questa scelta c’è anche un riferimento musicale?
Esatto. L’idea fu del mio socio Francesco, che purtroppo è mancato quattro anni fa. Lui era un appassionato di musica heavy metal anni ‘70. Proprio in quell’epoca, a cavallo tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, c’era un gruppo di Livorno che si chiamava appunto Strana Officina, senza “La”, e lui decise che ci saremmo dovuti chiamare così. In effetti, vedendo quello che abbiamo fatto e che facciamo, non avrebbe potuto esserci nome più azzeccato…
Vuoi raccontarci brevemente l’evoluzione della vostra attività?
Siamo nati come rivendita, pur non essendo mai stati in competizione con le grosse distribuzioni, ma di fatto abbiamo smesso definitivamente di vendere bici di serie nel 2015, finendo per diventare un negozio diverso dagli altri, concentrandoci, al di là dell’attività di riparazione, soprattutto sui restauri, gli accessori e sulla fabbricazione di componentistica. Il punto di svolta vero e proprio però è iniziato prima, quando è si è diffusa la moda delle biciclette tipo “fixed”.
Di che tipo di bicicletta si tratta?
Sono biciclette che richiamano quelle utilizzate negli anni ‘80 dai postini in America, soprattutto nell’area di New York: si tratta di modelli senza freni e con il pedale a scatto fisso. Per frenare è necessaria una tecnica particolare: in pratica, si sposta il peso del corpo in avanti e si allunga una gamba all’indietro su un pedale fino al bloccaggio della ruota. Ovviamente la ruota posteriore inizia a slittare, quindi bisogna calcolare bene lo spazio di frenata rispetto al punto di arresto.
Come siete giunti alla ribalta, in questo particolare mercato?
Di fatto fummo i primi in Toscana, grazie anche a Reinhard Plank, creatore di scarpe e cappelli austriaco, che tra i suoi clienti annovera numerosi artisti di Hollywood, e con il quale in precedenza avevamo avuto occasione di collaborare. Un giorno mi chiamò dal Giappone dicendomi che probabilmente avrebbe potuto esserci qualcosa di interessante per quello che riguardava il mondo della bici: in Oriente stava prendendo piede la moda delle Fixed, sulle quali era possibile un alto grado di personalizzazione, come manubri, ruote, leve, pedali, ecc. Noi ci mettemmo subito all’opera e quando poi, mesi dopo, le Fixed diventarono di moda anche in Italia, si parla del 2010-2011, ci ritrovammo con un grosso vantaggio rispetto alla concorrenza, avendo già realizzato accessori particolari. Da lì partirono molte richieste da alcuni negozi di Firenze per la fornitura dei nostri accessori. Per 3-4 anni ci fu un vero e proprio boom di mercato tanto che praticamente tutte le aziende costruttrici di biciclette si riservarono un settore specifico per le Fixed. Di lì in avanti spostammo ulteriormente la nostra attività dal semplice assemblaggio di componentistica alla vera e propria realizzazione di pezzi unici.
Oltre all’exploit sul mercato di questo modello di bicicletta, c’è stata, per così dire, una commissione particolare che ti ha spinto definitivamente verso questa direzione?
Sì. Un giorno un signore mi fece vedere un suo prototipo realizzato con alcune parti del modello Graziella, altre di bici da bambino… Un assemblaggio piuttosto singolare, non ancora finito. Io non feci altro che completare quell’idea, riprogettando il telaio, le finiture e gli accessori; ci volle un anno di lavoro, anche perché nel frattempo c’era da portare avanti tutta l’attività di riparazione e restauro, a scapito della concentrazione e dei tempi di realizzazione: è difficile dare continuità ad un progetto creativo, dovendosi interrompere di frequente…
Tornando al lavoro sulle bici, puoi vantare collaborazioni importanti…
Sì, ho collaborato con la Francesco Paszkowski Design, che progetta yachts, con Ferragamo, per il quale ho realizzato una bici placcata in oro che è stata esposta in via Tornabuoni a Firenze, con Proraso; ho partecipato a varie fiere sia in Italia che all’estero. Una collaborazione particolare è stata con una catena di negozi colombiana, la Punto Blanco, che mi ha commissionato 11 bici fixed a tema bianco. In pratica queste bici, che erano esposte in vetrina, venivano estratte, come in una lotteria, tra i clienti del negozio.
Ti è mai capitata una richiesta particolarmente eccentrica?
Tra le più eccentriche, forse, quella di un manubrio in plexiglass trasparente con i pesciolini finti dentro. Si trattava di una bici da donna, tipo fixed, e la difficoltà maggiore non fu realizzare il manubrio, quanto riuscire a far rimanere sospesi i pesciolini nel liquido. Trovai la soluzione al problema quando notai casualmente la consistenza del disinfettante Amuchina: trasparente come l’acqua ma viscosa al punto giusto per farli rimanere sospesi all’interno del manubrio!
Altri lavori particolari?
Beh, un giorno si affacciò in negozio una signora chiedendomi di ripararle il coperchio della macchina del caffè…
Veramente?
Sì, sul serio, e glielo riparai!
Ma il profilo medio delle persone che ti commissiona una bici qual è?
Devo dire che non sono persone stravaganti. Soprattutto sono donne, e nel 90% dei casi mi fanno una richiesta generica, fidandosi soprattutto del mio gusto e del mio modo di lavorare. Con un disegno, anche di massima, sarebbe tutto più semplice ma è difficile che capiti, quindi il dubbio che il risultato possa non piacere mi rimane sempre, durante la costruzione.
Evidentemente però la fiducia nasce dal fatto che le tue bici hanno un certo stile.
In effetti una frase tipica è “Fai qualcosa di particolare come sai fare tu”, però durante tutto il lavoro, come dicevo, è un continuo domandarsi: “Piacerà? Non piacerà?”
L’idea di base su ogni bicicletta è mia, poi coinvolgo anche altre persone, per esempio per gli accessori, pelle, legno, oppure per i pezzi a controllo numerico. Tenete conto che intorno ad una mia bicicletta finiscono per lavorare circa 7-8 artigiani.
Per la costruzione dei pezzi di cui ti occupi personalmente, qual’è il tuo approccio al lavoro?
Io penso che non sempre l’idea su carta piaccia anche nella realtà; partendo da questo presupposto, ogni volta che devo costruire una bici particolare, realizzo il telaio, ci monto due ruote, un manubrio e la lascio in vista per un mese.
In questo modo, anche mentre mi trovo indaffarato su altre cose, ci butto sempre lo sguardo. Se già dopo tre giorni non mi piace più, la smonto e ricomincio daccapo; in pratica deve succedere che ogni volta che la riguardo, io possa dire: “Però!”. Il fatto è che se già a me non piace e mi annoia dopo poco tempo, questo può valere anche per potenziale cliente e comunque io per primo devo essere convinto fino in fondo.
Un approccio interessante, decisamente autocritico…
Sì, su questo sono molto rigido, se la struttura del prototipo che si va formando riesce a “resistere” un mese, un mese e mezzo, allora passo, per esempio, a realizzare i pedali. Il primo modello richiede sempre molto tempo, poi una volta trovati i pezzi e gli abbinamenti, costruirne altri identici è molto più rapido.
Ad oggi, indicativamente, quanti modelli hai realizzato?
Circa 30 modelli: 12 da collezione, dai quali ho tratto spunto per gli altri. Posso dire che, almeno in Europa, non c’è nessuno che si spinge ad un livello così alto di customizzazione.
Abbiamo fatto delle biciclette che, come accessori, avevano le borse di Hermès, altre con manubri e portapacchi in legno realizzati da un falegname delle vicinanze, selle lavorate da un artigiano che realizza quelle per l’equitazione, solo per fare alcuni esempi.
A proposito di collaborazioni devo ricordare, fra gli altri, Massimo Dugini che si occupa di trasformatori e generatori di corrente. Stiamo facendo anche delle citybike elettriche che si autoricaricano grazie ad un motore-generatore che in salita si comporta da motore e in discesa da generatore ricaricando fino ad un massimo di 3 ampere a seconda della velocità.
A proposito: qui nel laboratorio c’è anche un motorino “Ciao” elettrico…
Sì, un’idea di Tiberio, un signore che un giorno venne qui chiedendomi se mi poteva interessare l’idea di elettrificare un vecchio “Ciao”. La proposta mi piacque subito. Le modifiche sono state molte: tra quelle più originali la marmitta che adesso è un portaombrello, mentre il vecchio tappo per il serbatoio della benzina è diventato l’alloggiamento per la ricarica USB del telefonino…
Da quando abbiamo iniziato ne sono stati realizzati una decina.
E questa strana bici cos’è?
E’ una rivisitazione moderna del “Velocino”, un modello degli anni ‘30 con il sellino sulla ruota posteriore e il manubrio ripiegato all’indietro, una delle prime biciclette facilmente pieghevoli e trasportabili.
All’ingresso del negozio c’è un manifesto di Fabrizio Caselli, atleta di handbike che ha partecipato alle Paralimpiadi. Ti occupi anche di ausili e modifiche alle bici per portatori di handicap, giusto?
Certamente, e mi occupo anche di modificare tutti i particolari delle sedie a rotelle, in modo da renderle migliori dal punto di vista della fruibilità. Quanto a Fabrizio è una persona dotata di una forza eccezionale: è rimasto costretto sulla sedia a rotelle per colpa di un’embolia a seguito di un’immersione ma non si è mai arreso anzi, qualche anno dopo, ha iniziato a utilizzare l’handbike.
Da lì a poco ha intrapreso l’attività agonistica con la Maratona di Firenze, che poi ha vinto in una delle edizioni successive; ha vinto la Maratona di Roma, il Giro d’Italia nel 2014, oltre a partecipare alle Paralimpiadi. Dopo è passato al canottaggio, e anche lì si è tolto diverse soddisfazioni; ultimamente, con il bob, è riuscito a conquistare una medaglia d’argento ai Mondiali del 2020, e la medaglia di bronzo nella Coppa del Mondo 2022. Un’ispirazione per tutti.
Marco, grazie di cuore per averci ospitato e fatto conoscere le tue creazioni e soprattutto la passione e dedizione che metti nel tuo lavoro.
Per tutti gli appassionati di bici e non solo, di seguito i link al sito ufficiale de La Strana Officina: ne vedrete delle belle!