Alessandro D’Avenia – L’appello (2020)
“…Serve sempre una domanda per vedere le cose, perché vediamo veramente solo ciò su cui fissiamo l’attenzione e la fissiamo solo su ciò che amiamo, e così lo chiamiamo a “presentarsi”, a diventare “presente”. Solo dando loro un nome le cose rispondono con la piena presenza…” (A. D’Avenia, “L’appello”)
Dal dizionario di latino Castiglioni – Mariotti: appello (adp-), as, avi, atum, are. Significati: 1) rivolgere la parola, salutare; 2) appellarsi, rivolgersi a; 3) chiamare, dare un nome.
Difficile ricordare nell’appello che in ogni ordine e grado scolastico ha scandito l’inizio delle nostre lezioni, una valenza vagamente riconducibile a tali significati.
Un momento meramente burocratico volto ad attestare la presenza fisica degli studenti nella classe, niente di più. Ma cosa accadrebbe se quei primi minuti di lezione fossero utilizzati per accertarsi della presenza non solo del corpo ma anche dello spirito, della mente e del cuore? Se chiamare gli studenti per nome non servisse solo a registrarne il numero, ma a riconoscerne l’unicità, la ricchezza, la potenzialità di una vita di cui farsi carico?
Quando a Omero Romeo, supplente di scienze, viene assegnata una classe difficile nell’anno della maturità, il suo compito appare proibitivo: lui, docente divenuto cieco che decide di rimettersi in gioco, dopo essersi ritirato dall’insegnamento a causa della malattia, per capire se è ancora in grado di insegnare e di sentirsi vivo; loro, gli alunni, i casi disperati, che nessuno riesce a “vedere” se non in termini di problematicità e scarso rendimento.
La limitazione fisica spinge Omero a stabilire una connessione con i suoi alunni attraverso un appello speciale in cui Caterina, Mattia, Stella, Ettore, Elisa, Cesare, Elena, Oscar, Achille e Aurora sono chiamati a raccontarsi, per essere accolti dal quel professore cieco che riesce a vederli meglio di chiunque altro, persino di loro stessi. L’appello diventa lo spazio in cui le loro vite vengono alla luce e il momento in cui Omero chiede ai ragazzi di avvicinarsi alla cattedra per toccarne i volti si trasforma in una presa in carico delle angosce, delle speranze e desideri che su quei volti percepisce e riconosce.
Ne scaturisce una relazione insegnante-allievo, in cui ognuno, con la propria esistenza, si fa al tempo stesso alunno e docente, grazie alla quale dieci ragazzi già duramente segnati dalla vita e un professore che cerca di ritrovare se stesso, troveranno la forza di mettersi in gioco trasformando le proprie ferite in opportunità.