L’ibisco viola – Chimamadze Ngozi Adichie (2003, ed. it. 2012)
Questa volta ospitiamo una recensione “esterna” al team di EnjoyBlog. Lorenzo Sorace è un lettore dei nostri più affezionati e un entusiasta sostenitore del blog. Volentieri lo pubblichiamo e ci auguriamo che il suo consiglio di lettura vi porti a leggere o ri-leggere l’Ibisco Viola. Buona lettura!
L’ibisco viola è il primo romanzo di Chimamadze Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana nota al più grande pubblico per i suoi successivi testi di narrativa (Metà di un sole giallo, Americanah, Quella cosa intorno al collo) o di saggistica (Il pericolo di un’unica storia, Dovremmo essere tutti femministi).
La vicenda narrata nel romanzo è ambientata nella Nigeria degli anni ’90 in cui il dittatore Sani Obocha, salito al potere con un colpo di stato militare, soffoca progressivamente ogni voce libera nel paese, dai giornali all’università. In questo clima pubblico oppressivo si svolge il traumatico passaggio all’adolescenza della giovane protagonista, Kambili.
Il racconto in prima persona degli eventi familiari drammatici ruota intorno alla figura del padre Eugene, ricco industriale proprietario dell’unico giornale libero del paese, munifico benefattore e devoto cattolico nella sua incarnazione pubblica, ma al tempo stesso tiranno senza pietà all’interno della famiglia: violento verso la moglie e controllore assoluto del tempo dei figli, scrupolosamente e ossessivamente diviso fra studio e doveri religiosi; talmente convinto della sua forma deviata di religiosità da impedire a sé e a suoi familiari rapporti con il suo anziano padre, colpevole di seguire ancora tradizioni animiste. L’adolescente Kambili e il fratello Jaja si aprono però alla libertà e alle molteplici possibilità della vita grazie all’entrata in scena della zia (che nel libro porta eloquentemente il nome della madre dell’autrice, cui il libro è dedicato insieme al padre), docente universitaria nel precario sistema nigeriano a Nsukka. Ifeoma è madre di tre figli cresciuti in autonomia dopo la morte del marito ed è capace di coniugare il suo cattolicesimo con il rispetto dei riti animisti ancora diffusi in gran parte della società nigeriana; ma che allo stesso tempo spera di poter emigrare negli Stati Uniti per poter portare avanti il proprio lavoro, impossibilitata come è a farlo in Nigeria. Nel suo giardino cresce l’ibisco viola che dà il titolo al libro, simbolo di quel rispetto delle differenze che è il fondamento della libertà individuale, familiare e collettiva, politica e religiosa, rispetto ai fiori tutti uguali della ricca e opprimente casa di Eugene.
Già da questi brevi note è chiaro che il romanzo propone molti degli spunti e delle idee che l’autrice ha poi sviluppato nei suoi libri successivi, dalla situazione politica e sociale della Nigeria all’assoluta centralità delle figure femminili e alla loro necessariamente conflittuale relazione con una mascolinità che troppo spesso cerca di mantenere il potere, familiare e politico, con la violenza fisica e morale.
Nel libro vive infatti la storia della Nigeria, vista e descritta con gli occhi di una parte della sua popolazione invece che con il più comune punto di vista degli ex-colonizzatori. Questo aspetto è sottolineato nel corso del romanzo dal fatto che i dialoghi sono spesso inframezzati da parole in igbo, lingua del popolo contrapposta all’inglese usato dalla classe dirigente nigeriana. Allo stesso tempo è evidente la prospettiva femminista del romanzo: alla famiglia patriarcale di Eugene si contrappone quella aperta di sua sorella Ifeoma; ma un ruolo centrale nel libro è giocato poi dalla madre di Kambili, che subisce la violenza del marito per tutto il libro ma porta a compimento la liberazione familiare con un atto di rottura violento e inatteso. D’altronde, non è solo dal lato femminile che una diversa possibilità di vita, individuale e collettiva, si affaccia agli occhi di Kambili, adolescente e quindi per definizione in formazione: il personaggio di padre Amadi rappresenta il simbolo di una diversa visione maschile della religione cattolica, in cui l’amore sia dono e non possesso dell’altro; e a suo modo anche il nonno, adoratore degli idoli pagani, mostra che anche dal lato maschile è possibile sviluppare una connessione familiare che sia aperta alla diversità e preveda un ruolo femminile che non sia solo quello di angelo del focolare assegnato da Eugene a sua moglie (quando non viene battuta o violentata). E infine Jaja, fratello di Kambili, che si affaccia per primo sulla soglia della libertà, ed è pronto a sacrificarla per quella della madre e della sorella, libere finalmente dalla dittatura paterna proprio come la Nigeria cercherà, negli anni successivi, di liberarsi dalla dittatura.
Un romanzo, insomma, che permette di calarsi in una realtà completamente diversa da quella che viviamo quotidianamente e quindi assolve perfettamente a quello che personalmente cerco nella narrativa, cioè vivere vite diverse dalla nostra con punti di vista diversi dai nostri; ma un romanzo che al tempo stesso affronta temi universali; e lo fa mantenendo sospesa la tensione per tutto il libro, grazie alla scelta della narrazione in prima persona e del racconto ad anello, che parte quasi dalla fine per ricostruire poi tutta la vicenda. Un libro, insomma, da leggere con piacere.