Il giro del mondo in 80 pezzi – Dublino sulle note di Gary Moore
E’ un tardo pomeriggio primaverile e su Dublino splende ancora il sole. Domattina lasceremo l’Irlanda e faremo ritorno verso casa, ma più tardi abbiamo appuntamento con Noah, uno studente universitario che, durante il nostro soggiorno, ci ha fatto da guida in questa bellissima città. Come nella migliore tradizione locale, ci incontreremo in un pub dove, davanti ad una birra e ad un toast, ci saluteremo scambiandoci indirizzi e contatti. Prima di andare via mi dovrò ricordare di chiedergli il cognome: Noah è uno dei nomi maschili più comuni in Irlanda, chissà se sarà Murphy, che è uno tra i più frequenti!
Partiamo dal nostro albergo nei pressi di Mountjoy Square Park, una piccola oasi di verde nella parte nord della città, e ci dirigiamo a piedi verso Temple Bar, il centro della vita notturna di Dublino, incanalandoci nel flusso pressoché costante di turisti.
Alzando lo sguardo riusciamo già a scorgere The Spire (La Guglia), che con i suoi 120 metri è chiamato anche Monumento alla Luce, e simboleggia la lotta dell’Irlanda per l’indipendenza dall’Inghilterra. Giunti ai suoi piedi, non si può non rimanere colpiti da questo “gigante” che sembra toccare il cielo!
Nel frattempo abbiamo già svoltato per O’ Connell Street e pochi metri più avanti passiamo accanto al General Post Office, sede del Municipio e quartier generale dei capi della rivolta di Pasqua del 1916, evento che sancì l’Indipendenza dell’Irlanda dall’Inghilterra. E’ bello vedere come molti monumenti di questa città si leghino alla determinazione con cui questo popolo ha combattuto per affrancarsi dalla corona britannica!
In un attimo siamo in prossimità del fiume Liffey e dell’Ha’ Penny Bridge, così chiamato per il mezzo penny di pedaggio che i dublinesi hanno pagato, fino al 1919, per il suo attraversamento.
Finalmente arriviamo a Temple Bar e vediamo Noah che ci attende sulla porta del pub, accogliendoci con un sorriso ed un sonoro “How are you?” Entriamo nel locale, dove si respira un’allegria contagiosa e, mentre siamo seduti a parlare con il nostro amico, sento in lontananza una musica in filodiffusione che mi suona familiare.
Riconosco la voce di Gary Moore, compositore, cantante ma soprattutto grande chitarrista, che ha saputo fondere la rabbia e la potenza dell’hard rock con le proprie radici irlandesi. Il suono veemente e sanguigno, dai suoi esordi fino alla rivisitazione del blues dei suoi ultimi lavori, ne ha rappresentato la cifra stilistica, ma il brano che ascolto adesso, Johnny Boy, è una ballata di una dolcezza disarmante e il velo di tristezza che la contraddistingue è davvero commovente. La melodia riesce a stregarmi ogni volta che l’ascolto, anche perché il brano è dedicato all’amico Phil Lynott, bassista e compositore nonché compagno di scorribande musicali ai tempi dei Thin Lizzy (una delle formazioni in cui ha militato Gary Moore), purtroppo scomparso nel 1986.
When I hear that wind blow – All across the Wicklow mountains – Is it you I hear a calling?
Johnny boy, oh Johnny boy…
Violino, tin whistle e flauto mi trasportano immediatamente nella tradizione della musica celtica e l’atmosfera dilatata del pezzo non fa che amplificare il senso di perdita e di tristezza, finendo per contrapporsi al clima gioioso del nostro tavolo. Cerco, con fatica, di non farmi coinvolgere troppo dalla musica, dopotutto con Noah ci stiamo divertendo e non vorrei dare l’impressione di essere altrove…
Come spesso accade quando ci troviamo in buona compagnia, il tempo vola: dobbiamo tornare in albergo e prepararci per la partenza di domani. Salutiamo il nostro amico, ma mi è rimasta ancora una curiosità. “Noah, ma come ti chiami di cognome?”
“Murphy”
Appunto…